NARRAZIONE
I
preparativi
Con
lo scoppio della guerra i nazisti decisero di "risolvere
il problema ebraico". In un primo momento questa espressione
significava "liberare" completamente il territorio del
Reich dalla presenza ebraica: cioè gli ebrei, che già
da tempo vivevano nella Germania in condizione di separazione,
isolamento e segregazione civile, andavano letteralmente scacciati,
obbligati ad emigrare. Questa decisione non comportava ancora
la prospettiva del genocidio: le uccisioni di ebrei furono limitate,
una conseguenza di atti di violenza particolari in un contesto
che negava qualsiasi valore alla vita degli ebrei, ma non erano
una scelta generalizzata.
La
facilità della vittoria contro la Polonia e la decisione
di annettere al Reich ampi territori polacchi spinsero i nazisti
a decidere di "liberare" dagli ebrei anche questi nuovi
territori conquistati: gli ebrei qui residenti furono trasferiti
nei territori polacchi non annessi, e denominati "Governatorato
Generale" (tra la Vistola e il confine con l’U.R.S.S., con
capitale Cracovia), sotto la dittatura di Hans Frank: milioni
di nuovi ebrei, deportati da tutti i territori dominati ora dal
Reich, dovevano aggiungersi a quelli che già vi abitavano.
Tutti gli ebrei del G. G. vennero concentrati in enormi ghetti
(ma anche centinaia di piccoli), delimitati da mura, con la proibizione
di uscirvi, un rigido controllo poliziesco affidato ad organismi
di "autoamministrazione" (i poliziotti ebraici così
ben descritti da Spielberg in Shindler’s List), un duro
lavoro al servizio dei tedeschi, razioni alimentari tanto scarse,
affollamento ed igiene così precari da produrvi vere e
proprie morti di massa.
Tuttavia
già dalla fine del 1940 questa soluzione si rivelò
impraticabile: troppo piccolo il territorio del G. G. , troppo
densa la popolazione slava che già vi abitava, e che avrebbe
dovuto essere trasferita a sua volta per far posto agli ebrei,
con complicazioni impossibili a risolversi.
Allora
i nazisti puntarono per alcuni mesi sul "piano Madagascar":
contando sulla connivenza della Francia sconfitta si progettò
il trasferimento degli ebrei di tutta Europa nell’isola africana,
con l’intenzione di predisporre tali condizioni di accoglienza
(all’interno della foresta, lontano dalle coste, in un territorio
privo di ogni infrastruttura civile) da provocare la morte di
almeno la metà dei deportati.
Anche
questo piano, cui lavorò per alcuni mesi Heichmann, si
concluse in un nulla di fatto, a causa anche del dominio dei mari
che la flotta inglese continuava a mantenere.
L’evoluzione
stessa della guerra, però, offrì ai nazisti condizioni
nuove che aprirono la via della distruzione completa degli ebrei
dell’Europa.
La
soluzione finale
L’aggressione
della Germania all’U.R.S.S. ottenne inizialmente successi travolgenti:
territori immensi furono conquistati, milioni di abitanti finirono
sotto l’occupazione delle truppe della Wermacht.
Già
prima dell’ordine di attacco Hitler aveva emanato ordini drastici
nei riguardi della popolazione soggiogata: identificazione ed
uccisione sul posto di due categorie di persone (praticamente
unite, se non identificate, tra di loro dall’ideologia hitleriana):
funzionari comunisti ed ebrei.
Il
compito fu affidato alle truppe denominate Einsatzgruppen: circa
seimila uomini che, nel volgere di sei mesi (dall’agosto ’41 al
gennaio successivo) fucilarono circa settecentomila ebrei, prelevandoli
nelle città e nei villaggi (spesso con la complicità
delle popolazioni, soprattutto in Estonia, Lettonia, Lituania,
Ucraina), trasportandoli ai bordi delle foreste, costringendoli
a scavare immense fosse comuni, e fucilandoli a grandi gruppi,
nei primi mesi soprattutto uomini adulti, poi uccidendo tutti,
uomini e donne, compresi i neonati e gli anziani moribondi.
In
questo modo si compì la prima tappa delle uccisioni di
massa.
La
seconda tappa doveva avvenire con modalità molto diverse,
a causa del sorgere di numerosi nuovi problemi.
Innanzitutto
la quantità: gli ebrei ancora in vita che si trovavano
sotto il dominio dei nazisti erano in numero dieci volte maggiore
a quello, pur terribile, che era stato sterminato con la modalità
delle fucilazioni sul posto; inoltre la maggior parte si trovava
in zone densamente popolate, in grandi città, in luoghi
cioè in cui non era possibile, per non destare reazioni
o complicazioni tra la popolazione circostante, procedere a massacri
in massa come nelle sterminate pianure dell’Europa orientale;
infine anche tra le stesse truppe tedesche destinate a procedere
alle esecuzioni in massa si rilevavano consistenti manifestazioni
di disequilibrio psichico, ubriachezza, diminuzione dell’efficienza.
La
soluzione che i nazisti misero in atto consistette dunque nella
deportazione degli ebrei da tutte le zone dell’Europa sotto il
loro dominio, nella loro concentrazione in Polonia e nella costruzione
di una serie di campi dotati di apparecchiature per l’uccisione
e la distruzione dei cadaveri organizzate industrialmente.
A
tale scopo vennero costruiti sei campi di sterminio, organizzati
in modo molto diverso dalle altre centinaia di campi di concentramento,
di lavoro forzato e di prigionia che i tedeschi gestivano in tutta
Europa: si trattò dei campi di Chelmno (attivo dal gennaio
1942), Belzec (aprile 1942), Sobibor (maggio 1942), Treblinka
(luglio 1942), Maidanek (estate 1942), ed infine Auschwitz-Birkenau,
attivo dalla primavera 1942, e destinato a tutte le attività
di sterminio, lavoro, deportazione.
Nel
campo di Chelmno la morte veniva inflitta per avvelenamento a
gruppi di ottanta persone stipate nei cassoni a tenuta stagna
di camion i cui gas di scarico venivano convogliati nel cassone;
negli altri campi vennero costruite camere a gas alimentate dai
motori di camion o carri armati, tranne che ad Auschwitz dove
venivano liberati cristalli di acido prussico (Cyclon B) che a
contatto con l’aria volatilizzavano ed asfissiavano le persone;
le camere a gas potevano contenere da poche decine a più
di un migliaio di persone per ogni volta; l’agonia durava dai
quindici ai trenta minuti, tra scene di terrore e di violenza
strazianti; all’apertura delle porte i corpi accatastati cadevano
fuori, le stanze si rivelavano lordate di sangue, vomito e deiezioni,
i cadaveri avvinghiati ed alcuni schiacciati dalla violenza della
disperazione; i corpi venivano poi bruciati in fosse all’aperto
o in forni crematoi; le ceneri raccolte, insieme alla polvere
ottenuta dalla macinazione delle ossa più grandi, combuste
ma non sbriciolate, insaccate e gettate nei fiumi vicini ai campi.
Soprattutto
a Treblinka e ad Auschwitz, i campi più efficienti, tutto
il processo assumeva le caratteristiche di un orribile efficienza
"produttiva": dall’arrivo dei treni all’incenerimento
dei corpi passavano solo poche ore: ad esempio il campo di Treblinka,
cui furono destinati gli ebrei del ghetto di Varsavia, nel solo
agosto 1942 fece scomparire 142.000 persone; Auschwitz giunse
ad inghiottire, nel periodo della distruzione degli ebrei dell’Ungheria,
fino a 24.000 persone al giorno. La stima delle uccisioni per
i singoli campi è la seguente:
Chelmno |
152.000
|
Belzec |
600.000
|
Sobibor |
250.000
|
Auschwitz
|
1.000.000
|
Treblinka |
900.000
|
Majdanek |
60-80.000
|
Secondo
lo storico Raul Hilberg il numero delle vittime suddiviso per
paesi di origine può essere stimato dalla seguente tabella
Polonia |
fino
a 3.000.000
|
Urss |
>
700.000
|
Romania |
270.000
|
Cecoslovacchia |
260.000
|
Ungheria |
>80.000
|
Lituania |
>130.000
|
Germania
|
>120.000
|
Paesi
Bassi |
>100.000
|
Francia |
75.000
|
Lettonia |
70.000
|
Jugoslavia
|
60.000
|
Grecia |
60.000
|
Austria |
>50.000
|
Belgio |
24.000
|
Italia |
9.000
|
Estonia
|
2.000
|
Norvegia |
<1.000
|
Lussemburgo |
<1.000
|
Danzica |
<1.000
|
Sempre
Hilberg così suddivide per anni il numero delle vittime:
1933-
1940 |
<100.000
|
1941 |
1.100.000
|
1942 |
2.700.000
|
1943 |
500.000
|
1944 |
600.000
|
1945 |
>100.000
|
Come
risulta evidente, il genocidio su larga scala ebbe inizio nel
1941, in concomitanza con la guerra contro l’Urss, e divenne parossistico
nel 1942, soprattutto nell’estate, quando tutti i campi di sterminio
erano in piena attività. Verso la fine del 1944 Himmler
ordinò il rallentamento delle uccisioni, per utilizzare
maggiormente, nelle difficili circostanze di una guerra che la
Germania stava evidentemente perdendo, il lavoro schiavizzato
degli ebrei e degli altri deportati.
PERCHE’
Interpretazioni
non corrette
Nel
tentativo di fornire un’interpretazione delle cause della Shoah
è più semplice cominciare con l’elencare le ipotesi
che, a parere degli storici, sono certamente sbagliate:
Hitler
voleva impadronirsi dei beni degli ebrei.
E’
certamente vero che i tedeschi si impadronirono dei beni degli
ebrei, ma la distanza tra l’utilità e la gravità
del crimine è troppo grande; era possibile ricavare beni
e servizi dagli ebrei senza sterminarli, come in passato molti
stati
avevano già fatto; inoltre risulta che lo sterminio fu
in realtà "antieconomico", perché impegnò
e distrusse più risorse di quelle che rese disponibili
ai tedeschi. Questa interpretazione risente del dogma economicistico,
secondo il quale sotto ad ogni fenomeno storico o sociale ci sono
sempre dei motivi di interesse: ciò è vero spesso,
ma non sempre.
I
tedeschi sterminarono gli ebrei perché erano tutti antisemiti
fanatici e feroci.
Questa
interpretazione è stata recentemente riproposta dal giovane
storico ebreo americano Jonah Goldhagen: essa viene confutata
su due piani: a) non è vero che tutti o quasi i
tedeschi fossero antisemiti fanatici; b) quand’anche ciò
fosse vero, la condizione non sarebbe sufficiente: molti altri
popoli erano più antisemiti dei tedeschi (ad es. i polacchi,
gli ucraini, i lettoni, i lituani, probabilmente i francesi),
senza però che questo loro antisemitismo li abbia spinti
al genocidio. Questa tesi, oltre che semplicistica, è anche
pericolosa, perché esime dall’individuare altre circostanze
che possono portare (ed in altri contesti storici hanno portato
effettivamente) al genocidio, abbassando quindi l’attenzione verso
il pericolo.
Il
genocidio
degli ebrei fu la risposta eccessiva ma non priva di fondamenti
alla minaccia comunista che Hitler identificava con la minaccia
ebraica.
Questa tesi è stata recentemente proposta dallo storico
tedesco Nolte, ma è stata respinta da tutta la comunità
storiografica, in quanto l’identificazione tra ebraismo e comunismo
è assolutamente priva di fondamento. (Definire semplicemente
"eccessivo" un genocidio è poi un’affermazione
priva di senso sul piano storiografico, ma ignobile sul piano
morale).
Una
possibile interpretazione
Nel
tentare di interpretare la Shoah gli storici si dividono tra coloro
che ritengono che l’obiettivo dello sterminio fosse presente fin
dall’inizio nella politica di Hitler, e che quindi la responsabilità
spetti a lui in primo luogo (interpretazione intenzionalistica),
e coloro che ritengono che il genocidio sia maturato a poco a
poco, certamente per impulso di Hitler, ma anche per una serie
di decisioni non legate tra di loro per necessità lineare,
che si aggiunsero volta a volta, mediante il concorso di molte
strutture, centri di potere, personalità del regime nazista,
spesso in concorrenza tra di loro nello spingere avanti la radicalizzazione
del processo (interpretazione funzionalistica). Questa
seconda interpretazione, che oggi è la più comune
tra gli studiosi, non nega affatto il concorso né la responsabilità
dei singoli, Hitler in primo luogo, ma si sofferma soprattutto
nell’analisi delle circostanze necessarie (nessuna delle quali
da sola anche sufficiente) per il verificarsi dello sterminio.
Il
sociologo anglo-polacco Zygmunt Bauman elenca le seguenti, che
qui si elencano, ma che vale la pena di approfondire con la lettura
diretta:
L’esistenza
e la diffusione tra élite politiche consistenti di una
teoria politica, che Bauman chiama "ingegneria sociale radicale",
secondo la quale è consentito, nel nome del bene definitivo
dell’umanità (della razza, della classe) trasformare radicalmente
la società esistente, senza arretrare di fronte ai costi
umani o ai mezzi crudeli: questa teoria è servita a "giustificare"
i crimini sia del totalitarismo nazista che di quello comunista.
L’esistenza
dell’antisemitismo razzista moderno, che si fonda sull’antigiudaismo
cristiano come sua condizione necessaria, ma vi si differenzia
per le sue caratteristiche biologiche e non religiose, non mira
alla conversione ma all’espulsione o all’eliminazione.
La
salita al potere di un’élite che professa le convinzioni
sopra descritte (il gruppo hitleriano).
La
delega completa della popolazione (per consenso o per terrore)
all’élite al potere.
Una
situazione di emergenza, che alteri le normali regole della convivenza
civile (e la guerra è la migliore di queste emergenze).
L’esistenza
di una burocrazia statale abituata a realizzare le direttive senza
discuterle, che ha sostituito una "moralità dell’efficienza"
ad una "moralità dei valori".
La
concezione razziale di Hitler
Se
queste furono le condizioni necessarie per la possibilità
del verificarsi della Shoah resta da spiegare quale visione del
mondo muovesse Hitler ed i nazisti nell’intraprenderla.
La
visione del mondo di Hitler si basa sul concetto di razza:
la razza non è una caratteristica secondaria, ma quella
fondante della vita individuale e sociale. In altre parole, di
fronte ad un’umanità che non esiste, ma è
solo un concetto ingannevole dell’illuminismo, e ad un individuo
che non conta nulla, la razza assume per Hitler la caratteristica
di realtà fondante di tutta la realtà umana. ("Tutti
gli avvenimenti della storia mondiale non sono altro che l’espressione,
nel bene e nel male, dell’istinto di autoconservazione insito
in ogni razza" Hitler, Mein Kampf)
Le
razze che rimangono pure, cioè non si mescolano mediante
il meticciato con altre, sono razze creatrici e superiori: tale
era la razza ariana, ed i tedeschi inparticolare, la cui purezza,
messa in pericolo dalla modernità, doveva essere restaurata
e difesa. ("L’imbastardimento del sangue e il conseguente
scadimento della razza è l’unica causa dell’estinzione
delle vecchie culture", sempre Hitler).Le
altre razze sono più o meno incrociate, e perciò
più o meno inferiori: sotto i tedeschi stanno gli altri
europei nordici, sotto i latini, ancora sotto gli slavi, verie
propri esseri inferiori.
Gli
ebrei non sono "inferiori" nel senso spiegato sopra:
essi si sono mantenuti puri, e grazie a questa loro purezza, mantenuta
senza farsi mai assimilare dalle popolazioni in mezzo a cui hanno
vissuto, tentano di dominare il mondo e spodestare gli ariani,
soprattutto tentando di corromperli. Gli ebrei sono dunque, secondo
Hitler, una razza demoniaca, lo specchio nel male di ciò
che gli ariani sono nel bene.
Gli
obiettivi degli ariani devono quindi essere i seguenti: ristrutturare
il mondo (l’Europa, per cominciare) ponendo sotto il proprio dominio
le razze slave inferiori, cancellare (con l’espulsione o, se necessario,
con la distruzione) gli ebrei, nemici metafisici. Nella metafora
zoologica di Hitler, se gli slavi sono come gli animali da lavoro
(e, se necessario, da macello), gli ebrei sono i batteri della
sifilide, sono i pidocchi portatori del tifo: per loro non c’è
spazio nemmeno come schiavi, c’è solo la sparizione.
Nessuno
di queste elaborazioni è stata formulata originalmente
da Hitler: tutte gli erano preesistenti, frutto di tendenze che
erano nate nel Settecento e si erano sviluppate nell’Ottocento:
l’originalità di Hitler consistette nell’utilizzarle come
strumento di lotta politica e di aggregazione su larga scale (nelle
condizioni drammatiche del mondo tedesco del dopoguerra) e poi
di averle tradotte in pratica con una tragica e straordinaria
coerenza.
Carnefici,
vittime, spettatori
Queste
categorie sono state introdotte dallo storico Raul Hilberg per
definire ed analizzare i comportamenti degli attori della Shoah.
Qui si elencano i gruppi che vi rientrano e si accenna brevemente
ad alcune loro caratteristiche.
I
Carnefici furono innanzitutto Adolf Hitler ed i suoi più
stretti collaboratori: Himmler, capo delle SS, Heydrich, capo
delle forze di sicurezza ed incaricato della "soluzione finale",
Goering, maresciallo del Reich, l’ideologo Goebbels, ecc. Furono
poi la classe dirigente nazista nel suo insieme, furono i vecchi
funzionari e burocrati di stato che in varia misura collaborarono;
furono le nuove leve, alcuni entusiasti, altri freddi e calcolatori
come A. Heichmann, che la filosofa Anna Harendt ha preso ad esempio
per indicare la "banalità del male"; furono infine
la popolazione tedesca nel suo complesso, che seppe e finse di
non sapere per non rischiare o per non turbare la propria tranquillità;
furono i governi collaborazionisti in Europa, come quello francese
del maresciallo Pétain o quello italiano della RSI di Mussolini;
furono quei collaboratori emersi anche tra le popolazioni occupate,
che si misero al servizio dei nazisti per convinzione o per interesse:
molti nei paesi baltici, in Ucraina, significativi anche in Francia
ed in Italia.
Le
caratteristiche sociali e psicologiche dei carnefici erano le
più varie, ma va rifiutata la falsa opinione che si trattasse
in maggioranza di psicopatici, di sadici, di fanatici: al contrario,
la stragrande maggioranza di loro era costituita da persone "normali",
che prima della Shoah e spesso anche dopo (chi riuscì a
scampare alla sconfitta della Germania e dei suoi alleati) si
comportarono come persone normali, buoni lavoratori, padri e mariti
pieni di cure per i propri cari.
Esattamente
ciò, cioè la possibilità che persone "normali"
compiano, in determinate circostanze, crimini orrendi, è
uno degli aspetti più significativi e deprimenti della
natura umana. Hilberg e Bauman elencano le condizioni che possono
spiegare questi comportamenti:
il
peso del totalitarismo e la pressione del contesto;
l’autorizzazione
ufficiale alla violenza, richiesta anzi come un "duro ma
necessario dovere" (Himmler);
la
disumanizzazione delle vittime che, con la propaganda martellante
e la riduzione in condizioni di "bruttezza" e degrado
umano, sono espulse dal concetto di "prossimo", di "persone";
la disumanizzazione delle vittime esenta psicologicamente i carnefici
dal riservare alle vittime il trattamento dovuto ad ogni essere
umano: questo obiettivo, e non (solo) il sadismo degli aguzzini,
spiega i trattamenti disumani e degradanti;
la
scomposizione del processo di uccisione, a cui pochi dei carnefici
partecipano dal principio alla fine: cioè tanti fanno piccoli
pezzi diversi del compito; ciascuno è autorizzato a pensare
che non il suo tratto, ma il tratto seguente è quello criminale;
(l’impiegato dell’anagrafe che consegna gli elenchi degli ebrei;
il ferroviere che guida i treni; il capostazione polacco che li
instrada verso i campi; la sentinella tedesca che li sorveglia;
la SS che trasporta i contenitori dell’acido cianidrico; quella
che li versa nelle camere a gas …);
l’autogiustificazione
che "se non lo farò io, un altro lo farà comunque"
(e intanto lo fa lui, e il progetto procede spedito);
l’ottundimento
della coscienza e della sensibilità, l’uso di droghe, la
violenza che diventa abitudine;
la
difficoltà di fermarsi ad un certo punto: qualunque sia
questo punto, bisognerà riconoscere che se si è
arrivati fin lì si è già dei criminali (e
allora si sceglie di negare la propria colpa e di sprofondare
nel fango).
Anche
lo storico Christopher Browning nell'analisi delle vicende del
battaglione 101 di polizia di riserva, composto da tedeschi "comuni"
trentenni e quarantenni, ed impegnato in Polonia nelle operazioni
di fucilazione, concentramento e trasferimento degli ebrei ai
campi di sterminio, giunge a conclusioni analoghe.
Nel
1974 lo psicologo americano Stanley Milgram pubblicò i
risultati di un suo esperimento che confermarono la possibilità,
anzi, la forte probabilità che persone "normali"
dietro una forte richiesta dell’Autorità accettassero di
comportarsi in modo molto crudele con altri esseri umani.
Milgram
richiese ad alcuni studenti (dopo aver fatto loro credere di essere
inseriti in un esperimento circa l’influenza che i meccanismi
di punizione possono avere sull’apprendimento) di infliggere queste
‘punizioni’, consistenti in scariche elettriche (le ‘vittime’
di queste punizioni, ovviamente, non esistevano: veniva detto
che si trovavano in un’altra stanza collegate con elettrodi):
ebbene, il 65% degli studenti arrivò ad infliggere scariche
di centinaia di volt (che come è ben noto sono mortali!)
alle ignote ‘vittime’. In questo esperimento si mettevano in luce
tutti gli elementi riassunti sopra per analizzare il comportamento
dei carnefici: "normalità" e mancanza di sadismo
individuale; arrendevolezza di fronte all’Autorità; capacità
di passare sopra alle proprie normali convinzioni morali in una
situazione di forte pressione ambientale …
Le
Vittime furono gli ebrei europei. I più sventurati
furono gli ebrei polacchi, distrutti per intero, come anche gli
ebrei degli altri paesi dove forte era l’antisemitismo e debole
quindi lo schermo che la popolazione poteva stendere per proteggerli
(qualora lo avesse voluto).
Hilberg
analizza le diverse condizioni tra i paesi dell’Europa dell’Est,
peggiori, e quelle dell’Europa dell’Ovest, in cui si aprivano
maggiori spazi di salvezza; Jacques Sémelin mostra l’importanza
che le strutture sociali e culturali della società circostante
possono giocare per la salvezza degli ebrei: in alcuni casi esse
funzionarono come un vero "scudo" difensivo (Danimarca),
in altre situazioni la frammentazione del corpo sociale in gruppi
sociali ed ideologici distinti rese più grave l’esposizione
delle vittime (Olanda).
Quasi
mai le vittime erano in condizioni di difendersi: vecchi, bambini,
ma anche uomini nel pieno dell’età ma preoccupati dei propri
cari, tra una resistenza impossibile e la inconsapevolezza della
fine (che era tenuta segreta), accettavano ciò che era
loro presentato come una deportazione dura certo, ma non necessariamente
fatale. Alle vittime fu sempre fatta balenare la possibilità
di una scelta tra una realtà dura ed un'altra peggiore:
questa offerta di "soluzioni parziali" subito superate
e vanificate (ma le vittime non potevano esserne certe in anticipo)
produsse l’acquiescenza e spesso la collaborazione delle vittime
alla propria distruzione.
Spettatori
furono la maggior parte degli europei sotto il dominio nazista,
permolti versi le potenze alleate ed organizzazioni internazionali
(come la Croce Rossa, ad esempio).
La
condizione di spettatori ha come confini ai due estremi la posizione
dei soccorritori e quella dei profittatori e complici. In quei
paesi dove il baricentro si posizionò vicino alla prima
condizione, la sorte degli ebrei fu meno terribile: gli ebrei
danesi, quelli italiani ed altri ebbero una buona probabilità
di salvezza, che non vi fu per gli ebrei dell’Europa orientale
(ma anche per gli ebrei olandesi, ed in buona parte per quelli
francesi). Sulle responsabilità degli spettatori sarebbe
interessante aprire un capitolo di filosofia morale.
Bibliografia
Su
carta
La
bibliografia è immensa. Quella che qui viene presentata
ha come destinatari insegnanti e studenti; sono omesse le opere
di sintesi didascalica ma vengono elencati alcuni capisaldi della
storiografia.
Raul
Hilberg La distruzione degli ebrei d’Europa Torino, Einaudi
Raul
Hilberg Carnefici, vittime, spettatori Milano, Mondadori
Zygmunt
Bauman Modernità e olocausto Bologna, Il Mulino
Jacques
Sémelin Senz’armi di fronte a Hitler Torino, Sonda
Cristopher
Browning Verso il genocidio Milano, Il Saggiatore, 1999