Io vogliọ del ver la mia donna laudare
ed asembrarli la rosa e lo giglio:
più che stella dïana splende e pare,
e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio.
Verde river’ a lei rasembro e l’âre,
tutti color di fior’, giano e vermiglio,
oro ed azzurro e ricche gioi per dare:
medesmo Amor per lei rafina meglio.
Passa per via adorna, e sì gentile
ch’abassa orgoglio a cui dona salute,
e fa ’l de nostra fé se non la crede;
e no·lle pò apressare om che sia vile;
ancor ve dirò c’ha maggior vertute:
null’ om pò mal pensar fin che la vede.
Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira,
e fa tremar di claritate l’a’re,
e mena seco Amor, sì che parlare
null’omo pote, ma ciascun ne sospira?
Deh! che rassembla quando li occhi gira,
dical Amor, ch’i’ nol porria contare:
cotanto d’umiltà donna mi pare,
ch’ogn’altra veramente la chiam’ ira.
Non si porria contar la sua piagenza,
ch’a lei s’inchina ogni gentil vertute,
e la beltate per sua dea la mostra.
Non fu sì alta già la mente nostra,
e non si posa in noi tanta vertute
che propriamente n’aviàn canoscenza.
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.